L'attivo ereditario e il calcolo della base imponibile ai fini dell'imposta di successione.

In quali circostanze i beneficiari di una successione ereditaria (eredi o legatari) sono tenuti a pagare l’imposta di successione? E come si calcola la base imponibile? Due quesiti apparentemente molto semplici che meritano però alcune riflessioni e approfondimenti.

Bisogna innanzitutto considerare che alcune categorie di beneficiari godono di una esenzione da imposta, fino ad un importo determinato. Lo scaglione di esenzione dipende dal grado di parentela tra il de cuius e il beneficiario. Questo aspetto è attualmente disciplinato dal comma 48 dell’art. 2 del D.L. n. 262/2006, norma che, oltre a fissare l’aliquota applicabile (variabile in base al grado di parentela tra de cuius e beneficiario), stabilisce che possono godere di uno scaglione di esenzione: 1) il coniuge e i parenti in linea retta fino a 1.000.000 di euro e 2) i fratelli e le sorelle fino a 100.000 euro. L’art. 49 bis dello stesso Decreto, stabilisce inoltre che nel caso in cui il beneficiario sia portatore di handicap riconosciuto grave ai sensi della legge 104/1992, lo scaglione di esenzione, a prescindere dal grado di parentela, è pari ad euro 1.500.000.

Non tutti i beni concorrono a formare l’attivo ereditario; sono esclusi, ad esempio i titoli di Stato, i beni mobili registrati nel Pubblico Registro Automobilistico, i beni culturali soggetti a vincolo come beni di pregio architettonico, storico o culturale.

Concorrono a formare l’attivo ereditario anche il denaro, i gioielli e mobilia (da intendersi, secondo la definizione del testo unico imposta di successione, come l’insieme dei beni mobili destinati all’uso o all’ornamento delle abitazioni). Per questa categoria di beni, vige una presunzione. In particolare, ai sensi del comma 2 dell’art. 9 del T.U. 346/1990, si considerano compresi nell'attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al 10% (dieci per cento) del valore globale netto imponibile dell'asse ereditario anche se non dichiarati o dichiarati per un importo minore.

Proviamo a fare qualche esempio per comprendere l’effetto pratico della norma sopra citata, alla luce delle considerazioni sopra esposte:

1)     Immaginiamo di presentare una dichiarazione di successione indicando nell’attivo ereditario immobili per un valore di 1.000.000 di euro, crediti per un valore di 500.000 euro, partecipazioni sociali per un valore di euro 1.000.000, e titoli di stato per un valore di euro 500.000; immaginiamo inoltre che beneficiari del patrimonio ereditario, a titolo di erede, siano il coniuge del de cuius e due figli. Avremo quindi un attivo ereditario di euro 2.500.000 (i titoli di stato non concorrono a formare l’attivo), e una soglia di esenzione da imposta di successione pari ad euro 3.000.000 (euro 1.000.000 per ciascun beneficiario, trattandosi di coniuge e figli). Non c’è quindi alcun valore imponibile, in quanto la soglia di esenzione supera l’attivo ereditario. Conseguentemente, non troverà applicazione la presunzione relativa ai beni mobili, in quanto questa si applica esclusivamente al “valore globale netto imponibile dell’asse ereditario”. In mancanza di valore imponibile, nessuna maggiorazione verrà applicata.

2)     Immaginiamo di presentare una dichiarazione di successione indicando lo stesso attivo ereditario dell’esempio 1, ma supponiamo che ci sia un unico erede, figlio del de cuius. Questa volta avremo uno scaglione di esenzione pari a 1.000.000 di euro e, conseguentemente, un valore imponibile di euro 1.500.000. Su quest’ultimo importo applicheremo la maggiorazione del 10%, e il risultato sarà che l’effettivo valore, sul quale l’agenzia delle entrate applicherà l’imposta di successione, sarà 1.500.000 + 10% = 1.650.000.

3)     Immaginiamo ora di presentare una dichiarazione di successione, sempre con lo stesso attivo ereditario dei precedenti esempi, ma questa volta supponendo che eredi siano due nipoti del de cuius, figli di un fratello premorto. In questo caso, posto che i nipoti (a differenza dei fratelli) non godono di alcuna franchigia, avremo un valore imponibile di partenza corrispondente ai valori indicati in dichiarazione di successione, quindi euro 2.500.000. E’ questo l’importo sul quale verrà applicata la maggiorazione del 10%. L’agenzia delle entrate applicherà quindi l’imposta di successione su un importo di euro 2.500.000 + 10% = euro 2.750.000. Considerando che l’aliquota dell’imposta applicabile ai nipoti (parenti di terzo grado) è del 6%, gli eredi pagheranno un’imposta di euro 165.000, di cui euro 15.000 imputabili alla maggiorazione del 10% (250.000 x 6%).

Una precisazione: negli esempi precedenti, se avessimo indicato nella dichiarazione di successione, all’interno dell’attivo ereditario, denaro, gioielli e mobilia, per un importo inferiore al 10%, calcolato con le modalità sopra illustrate, le conseguenze sarebbero state le stesse sopra descritte (i valori indicati sarebbero stati aumentati fino a raggiungere il 10%). Se invece avessimo indicato denaro, gioielli e mobilia per un importo superiore al 10% nessuna maggiorazione sarebbe stata applicata, ma l’imposta di successione sarebbe stata applicata sul valore complessivo effettivamente indicato in dichiarazione di successione, comprendente anche denaro, gioielli e mobilia.

Vediamo quindi che le conseguenze dell’applicazione della maggiorazione possono essere rilevanti (ancora più rilevanti sarebbero nel caso di erede non parente del de cuius, in quanto l’aliquota dell’imposta sarebbe dell’8%).

Chiediamoci quindi se le conseguenze sopra descritte siano eliminabili o attenuabili. A tal fine viene in rilievo l’ultima parte del comma 2 dell’art. 9 del T.U. 346/2000, sopra citato, che prevede che la presunzione può essere superata mediante la redazione di un inventario dell’eredità, redatto osservando le norme del codice di procedura civile. Questo significa che, nell’ipotesi in cui gli eredi procedano alla redazione di un inventario dell’eredità, il valore di beni mobili, gioielli, denaro, sarà quello indicato nell’inventario, e non si applicherà alcuna maggiorazione sugli altri valori indicati.

L’inventario è un atto formale, che può essere redatto dal cancelliere del Tribunale del luogo di apertura della successione o da un notaio. Il costo della procedura può arrivare anche a qualche migliaio di euro. Tuttavia, in alcune ipotesi il vantaggio può essere rilevante. Torniamo all’esempio 3 sopra illustrato. In assenza di inventario, gli eredi saranno tenuti a pagare una maggiorazione di imposta di euro 15.000. Immaginiamo che dall’inventario dell’eredità emerga che il valore di mobili, gioielli è denaro è di 50.000 euro (la presunzione sarebbe di 250.000). In tal caso l’imposta del 6% sarebbe applicata su una base imponibile di euro 2.500.000 + euro 50.000 = euro 2.550.000, e ammonterebbe quindi ad euro (2.550.000 X 6%) 153.000, con un risparmio di euro 12.000. Anche se gli eredi avessero speso 2.000 euro per la procedura di inventario, il vantaggio sarebbe evidente.

In definitiva, occorre valutare caso per caso l’opportunità di procedere con la redazione dell’inventario. Con ogni probabilità, il vantaggio fiscale sarà tanto maggiore quanto più alto sarà il valore imponibile (calcolato al netto di eventuali scaglioni esenti) dell’asse ereditario.

Dal punto di vista operativo, in presenza di inventario di eredità, nella dichiarazione di successione segnaleremo nel frontespizio la presenza dell’inventario, indicheremo nella sezione “beni inventariati” il valore esatto dei beni mobili quali risultanti dall’inventario. Tra i documenti da allegare alla dichiarazione telematica, inseriremo una copia del verbale di inventario, redatto dal cancelliere o da un notaio.

Avv. Luigi La Gamma Successioni.legal

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