Dichiarazione di successione e passività: la deducibilità dei debiti del defunto.

In seguito al decesso di un soggetto, ai fini del calcolo della sola imposta di successione eventualmente dovuta, il Testo Unico Successioni – “T.U.S.” (D.Lgs. 146/1990) prevede che il valore globale netto dell'asse ereditario sia costituito dalla differenza tra il valore complessivo, alla data dell'apertura della successione, dei beni e dei diritti che compongono l'attivo ereditario (da determinarsi secondo le disposizioni degli articoli da 14 a 19) e l'ammontare complessivo delle passività deducibili e degli oneri diversi da quelli indicati nell'art. 46, comma.

Non vogliamo soffermarci in questo caso sulle modalità di determinazione del valore dell’attivo (rimandandovi per un ottimo approfondimento a questo articolo), volendo invece andare ad indagare con particolare attenzione quali siano i meccanismi di calcolo e determinazione dei cespiti passivi che la legge ammette in deduzione.

Un primo riferimento, di portata generale, è l’art. 21 T.U.S., ove si prevede che le passività deducibili (dal valore globale lordo dell’asse ereditario) sono costituite dai debiti del defunto esistenti alla data di apertura della successione.

La ratio della norma è evidente (soprattutto se tralasciamo per un istante la posizione dei legatari): poiché l’imposta di successione è volta a colpire “la ricchezza” acquisita dall’erede, che subentrerà a titolo universale al De Cuius – e pertanto anche nei debiti da questi contratti in vita – allora l’effettivo “guadagno” che il successore potrà vantare (e sul quale dovrà pagare le imposte) non può non tenere conto di quello che egli sarà tenuto a sborsare in forza di quella medesima eredità.

Di base, pertanto, si tratta di un concetto semplice: ai fini del calcolo della sola imposta di successione (questo discorso non vale quindi per le altre imposte che si pagano "in occasione" della presentazione di una dichiarazione di successione!), dall’attivo ereditario vanno prima sottratti i debiti del defunto esistenti alla data della morte del De Cuius

A livello di principio generale, pertanto, bisogna considerare che sono deducibili tutti i debiti del defunto esistenti alla data di apertura della successione, senza esclusione. Il discorso però non termina propriamente qui, dovendo comunque sussistere le condizioni stabilite negli artt. dal 21 al 24 T.U.S.

Vanno infatti considerate le ulteriori norme che entrano in considerazione in questa fattispecie: alcune hanno a che fare con le modalità di prova delle passività dichiarate, altre vanno a delimitare l’ambito delle diverse tipologie di passività ammesse in deduzione, altre ancora vanno a delimitare l’importo delle passività effettivamente deducibili.

Con riferimento al primo limite (che potremmo definire “limite probatorio”), è lo stesso art. 21 T.U.S. che contiene una particolare specificazione: le passività deducibili sono costituite dai debiti del defunto esistenti alla data di apertura della successione, ma a condizione che essi risultino da atto scritto avente data certa anteriore all’apertura della successione o da provvedimento giurisdizionale definitivo. Nel caso non si riesca a disporre di tale documento, appare necessario provvedere a farsi rilasciare una c.d. “dichiarazione di sussistenza di debito” con firma autenticata da un Pubblico Ufficiale, in cui sarà lo stesso debitore ad attestare l’effettiva esistenza della passività ed il relativo importo. Il documento verrà quindi allegato alla dichiarazione di successione e menzionato nell’apposito quadro riferito alle passività. L’art. 23 T.U.S. contiene poi alcune precisazioni in ordine a particolari tipologie di documenti probatori (scritture contabili dell’imprenditore, attestazioni della pubblica amministrazione, attestazione dell’ispettorato del lavoro) su cui non pare il caso soffermarci in questa breve trattazione.

Con riferimento invece al limite che concerne la tipologia dei debiti deducibili, una delle norme più interessanti è quella che contiene la seguente indicazione: “non sono deducibili i debiti contratti per l'acquisto di beni o di diritti non compresi nell'attivo ereditario; se i beni o i diritti acquistati vi sono compresi solo in parte la deduzione è ammessa proporzionalmente al valore di tale parte” in sostanza si tratta di una norma che va in astratto a porre un importante restrizione al campo delle passività, prevedendo che siano deducibili solamente i debiti contratti per l’acquisto di beni o diritti che all’apertura della successione si trovino ancora presenti nel patrimonio del defunto. Secondo una interpretazione meramente letterale di questa norma, ai fini della deduzione, sembrerebbe dover sostanzialmente sussistere una precisa correlazione tra un determinato bene o diritto facente parte del patrimonio ereditario (che farà quindi parte dell’attivo) e il debito che si vuole portare in deduzione (con indicazione nel passivo).

L’interpretazione corretta della norma necessita però di tener conto quanto indicato dall’Agenzia delle Entrate con la risposta a interpello n. 342 dell’11 settembre 2020, dove si chiarisce che ai fini della deducibilità, è possibile considerare anche debiti diversi da quelli strettamente contratti in relazione a beni di proprietà del defunto (il caso esaminato afferiva al debito concernente un mutuo contratto per la ristrutturazione di un immobile e quindi, tecnicamente, non connesso all’acquisto del cespite). In quel caso, nessuna rilevanza avrebbe avuto l’art. 22 comma 1 T.U.S. (secondo cui non sono deducibili i debiti contratti per l'acquisto di beni o di diritti non compresi nell'attivo ereditario), nemmeno con riguardo alla titolarità dell’immobile oggetto della ristrutturazione per la quale il defunto aveva contratto il debito (che nel caso specifico infatti apparteneva a un terzo). L’unico elemento considerato rilevante nella fattispecie esaminata dall’Ufficio è stato quello della titolarità del debito in capo al defunto (ricordiamo infatti il principio generale per cui: sono deducibili tutti i debiti del defunto esistenti alla data di apertura della successione).

Da quanto detto ne consegue che sono quindi deducibili – purché rispettino le condizioni e le prove di cui agli artt. 21-23 T.U.S. – anche i debiti contratti con finalità diverse dall’acquisto di beni o di diritti non compresi nell’attivo ereditario.

Chiudiamo questa disamina con riferimento al limite sugli importi delle passività, segnalando che l’unico caso previsto dal T.U.S. in cui si prevede un tetto all’ammontare delle passività ammissibili di deduzione, concerne le spese funerarie contemplate dall’art. 24, in cui si stabilisce che esse siano ammesse in deduzione ai fini del calcolo della base imponibile per l’importo massimo di € 1.033 (milletrentatre/00), previa produzione della fattura emessa dall’impresa di servizi funerari regolarmente quietanzata dall’impresa stessa o con annessa prova del pagamento effettuato dall’erede che chiede la deduzione.

 Avv. Giovanni Quaresima Successioni.legal

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